8.1

Quadro regolamentare

Il testo normativo nazionale di riferimento per la regolazione del settore dell'igiene urbana è la Parte quarta del cosiddetto Codice dell'ambiente (D.Lgs. 152/2006, artt. 177-266), che ha in parte sostituito e integrato il Decreto Ronchi (D.Lgs. 22/1997), nonché i provvedimenti relativi alle discariche (D.Lgs. 36/2003) e all'incenerimento dei rifiuti (D.Lgs. 133/2005). Il Codice dell'ambiente è stato in seguito a sua volta modificato e integrato da vari provvedimenti e in particolare dal testo di attuazione della direttiva comunitaria vigente in materia (D.Lgs. 205/2010, direttiva 2008/98/CE). 

Il Codice ambientale definisce la suddivisione delle competenze di settore fra i vari livelli di governo, riservando allo Stato prevalentemente le funzioni di indirizzo, alle Regioni la pianificazione del ciclo dei rifiuti e dell'impiantistica di supporto, alle Province l'individuazione dei siti idonei e ai Comuni - organizzati in Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) - le funzioni più operative. 
In questo quadro, vengono delineati i seguenti obiettivi da rispettare a livello di ATO:

  • gestione integrata e affidamento tramite gara per un periodo minimo di 15 anni
  • autosufficienza in termini di impianti di trattamento e smaltimento dei RSU prodotti, salvo ragionevole applicazione del principio di prossimità
  • disponibilità di almeno un impianto a tecnologia complessa e di una discarica
  • limiti progressivi per lo smaltimento in discarica dei rifiuti biodegradabili pretrattati (173 kg/ab al 2008; 115 kg/ab al 2011; 81 kg/ab al 2018); il pretrattamento deve modificare sostanzialmente la struttura del rifiuto, attraverso digestione anaerobica, aerobica e/o termovalorizzazione
  • divieto di smaltimento in discarica per i rifiuti con potere calorifico inferiore (PCI) superiore a 13.000 kJ/kg, che possono essere termovalorizzati
  • obiettivi progressivi di raccolta differenziata (almeno 65% al 2012)
  • obiettivi di recupero/riciclaggio degli imballaggi (almeno 50% al 2020)

L’obiettivo di fondo è quello di rendere autosufficiente l’ATO (potendo anche ricorrere a una definizione territoriale di ATO diversa da quella provinciale, per ottimizzare l’uso degli impianti, ma anche al criterio di prossimità per evitare da un lato la duplicazione degli impianti e dall'altro per limitare il trasporto dei rifiuti) e minimizzare il ricorso alla discarica. Dati questi punti fermi, le possibilità di scelta fra diverse soluzioni tecnologiche, impiantistiche e di principio è ampia. La chiusura del ciclo è fondamentale, dunque, e la programmazione impiantistica deve assicurare la coerenza e la compatibilità delle varie scelte tenendo presente tutte le implicazioni.

Per quanto riguarda il finanziamento del servizio, fin dal 1997 la normativa ha introdotto l'obbligo di copertura integrale dei costi del servizio a carico dell'utenza attraverso una tariffa commisurata ai rifiuti prodotti, in misura effettiva o parametrica, per categorie di utenza e proporzionale alle superfici occupate o condotte in quanto suscettibili di produrre rifiuti. Dopo alcune difficoltà interpretative ed applicative, la giurisprudenza costituzionale aveva decretato la duplice natura della tariffa, ritenuta tributaria per quanto riguarda la gestione del contenzioso e l'eventuale riscossione coatta. Infine, dal 1 gennaio 2014 la tariffa è stata sostituita dalla Tassa Rifiuti (Tari), voce che concorre a costituire l'Imposta Unica Comunale (IUC). La misura della Tari deve essere approvata dal Comune in base ad un Piano finanziario annuale che deve rispettare gli indirizzi e le formule di price-cap contenute nel Metodo normalizzato per la determinazione della tariffa rifiuti di cui al DPR 158/1999.

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