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La normativa in generale

Dal punto di vista giuridico la materia degli asili nido stenta a trovare un assetto compiuto. Da una parte il legislatore statale è intervenuto, negli ultimi quaranta anni solo sporadicamente in materia (legge n.1044/1971legge 285/1997), dall'altro le venti Regioni, ognuna per proprio conto, hanno supplito a tale mancanza disciplinando i diversi aspetti del servizio quali la qualificazione giuridica, le modalità organizzative e gestionali, i criteri tecnico-costruttivi per la realizzazione degli edifici etc..

Inoltre leggi regionali di riorganizzazione della rete dei servizi per l'infanzia si sono succedute a partire dagli anni Duemila articolandosi diversamente in base alle specificità locali che, tuttavia, è possibile ricondurre a due macro aree: nidi d'infanzia e servizi educativi integrativi.

Tale attività normativa regionale ha determinato un servizio non omogeneo nelle diverse parti d'Italia e, non solo con riguardo alla percentuale di copertura del servizio, ma anche e soprattutto con riferimento alle regole che ne rendono il servizio variamente organizzato. Per non parlare poi delle diverse tipologie di servizio che, nelle diverse normative regionali e delle province autonome, hanno assunto le denominazioni più fantasiose.

Al contempo, nell'ambito del dibattito culturale sviluppatosi fra gli addetti ai lavori, è emersa la necessità di giungere a un quadro di riferimento certo e condiviso che possa porre fine a disuguaglianze in una materia così delicata come quella dei servizi per l'infanzia.

Molte anche le sollecitazioni che sono giunte al Governo e al Parlamento affinché venga emanata una legge statale in materia di servizi socio educativi per la prima infanzia che definisca con chiarezza le diverse tipologie di servizi ad essa dedicate con i relativi criteri di ingresso e regole di erogazione del servizio uguali per tutti. Ad esempio si ricordino nel 2011 le Osservazioni conclusive, in risposta all'Italia (in riferimento al rapporto consolidato presentato dall'Italia ai sensi art. 44 della Convenzione sui diritti del fanciullo ), del Comitato Onu sui diritti dell'infanzia in cui viene espressa una forte preoccupazione per le disparità di trattamento dei bambini in relazione alla diversità dei luoghi di residenza e nelle quali si invita lo Stato ad "assicurare stanziamenti di bilancio equi in tutte le 20 regioni".  Poi in seguito anche quanto raccomandato dalla Commissione Europea nel 2013 con il documento "Investire nell'infanzia per spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale" in cui si raccomanda agli stati membri di adottare politiche volte a promuovere servizi di qualità a costi sostenibili .

A rendere ancor più tortuosa la via per una normativa uguale in tutti luoghi della penisola anche il fatto che la qualificazione giuridica del servizio non è stata mai univoca rendendo incerto l'ambito di intervento del legislatore statale. Negli anni Settanta la giurisprudenza costituzionale tendeva a considerare i servizi per la prima infanzia non afferenti alla materia scolastica, negli anni Ottanta si riteneva che gli asili nido fossero una materia compresa nell'ambito dell'assistenza ed è pertanto che in tale data il servizio viene inserito fra i servizi a domanda individuale erogati dai comuni (DM 31 dicembre 1983). Negli anni Duemila tale orientamento cambia per cui gli asili non vengono più considerati come mero supporto per facilitare l'accesso al lavoro dei genitori ma assumono una funzione formativa ed educativa anche se tali finalità non ne implicano l'inserimento nell'ordinamento scolastico (sentenza n. 467/2002). Infine con la sentenza n. 370 del 2003 la Corte Costituzionale riconduce la materia dei nidi nell'ambito dell'istruzione e, per alcuni profili, nella materia del lavoro.

Negli ultimi anni alcuni provvedimenti statali si sono interessati da vicino alla materia senza però arrivare a una completa ridefinizione della stessa come auspicato da più parti. Si ricordi il Piano straordinario triennale per lo sviluppo dei servizi socio educativi per la prima infanzia, previsto all'interno della legge Finanziaria 2007, che ha destinato,  nel triennio 2007-2009  e con successive intese fino al 2012, risorse complessive pari a circa 616 milioni di euro, per potenziare l'offerta dei servizi e garantirne la qualità.

Finalmente con la legge 107/2015 Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti queste esigenze di mutamento sembrano essere accolte. All’art. 1 comma 158 lett. e) si prevede l’istituzione del sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita fino a sei anni (costituito dai servizi educativi dell’infanzia e dalle scuole dell’infanzia) con la delega al governo di adottare un decreto legislativo per ridisciplinare questa delicata materia.

Viene affermato innanzitutto il diritto di tutte le bambine e i bambini a pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco. Nel prossimo futuro, per quanto indicato nella legge sulla Buona Scuola, i servizi e le scuole dell’infanzia accoglieranno i bambini della fascia 0-6 anni offrendo servizi di qualità a tutte le latitudini del paese.

Infatti il testo legislativo non solo indica la qualificazione universitaria e la formazione continua di educatori/rici e insegnanti come uno dei livelli essenziali per l'erogazione del servizio ma prevede la determinazione di precisi standard organizzativi, strutturali e qualitativi per tutti i diversi luoghi educativi.

Il decreto delegato che, come si evince dalla stampa, è di prossima approvazione, fornirà inoltre l’occasione per superare un sistema di educazione prescolare diviso in due segmenti separati, diversi per governance, norme, competenze professionali, condizioni lavorative.

Nel dettaglio il decreto governativo dovrà ridefinire i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) per entrambi i settori dedicati all’istruzione e all’educazione dei bambini nel periodo dell’infanzia; estendere la generalizzazione della scuola d’infanzia; ridefinire gli standard strutturali e organizzativi in base alle diverse tipologie di età ed agli orari di servizio; realizzare la formazione obbligatoria per il personale dei servizi educativi per l’infanzia; definire le funzioni e i compiti delle Regioni e degli Enti locali al fine di potenziare la ricettività dei servizi educativi per l’infanzia e la qualificazione del sistema integrato; incentivare la nascita di nuovi poli per l’istruzione infantile aggregati a scuole primarie o istituti comprensivi.

I servizi educativi per la prima infanzia dovranno, inoltre, essere depennati dai servizi a domanda individuale inserendoli all'interno di un sistema complessivo di educazione per la vita, di un ciclo unico di formazione sotto l’egida del Ministero dell’Istruzione.

Sarà inoltre necessario un forte impegno anche da parte delle Regioni e degli Enti locali ovviamente coinvolti in una revisione importante delle proprie normative e nella progettazione e nella realizzazione dei nuovi servizi necessari per garantire alle bambine e ai bambini l’esigibilità del loro diritto all’educazione fin dalla nascita.

Normativa Regionale

La necessità di innovare la materia relativa ai nidi è stata accolta anche a livello locale. In particolare nel Lazio, con la Proposta di legge regionale n. 8247 del 25 maggio 2015 Disposizioni in materia di servizi socio educativi per la prima infanzia, si è inteso delineare un quadro organico (legge quadro) dell’insieme dei servizi socioeducativi per la prima infanzia. Oltre a rivedere le disposizioni riguardanti i requisiti strutturali e organizzativi degli asili nido, la proposta regolamenta i servizi integrativi sorti negli ultimi anni nel territorio senza un chiaro inquadramento normativo configurando un sistema integrato di servizi qualificati e diversificati in cui operatori pubblici e privati forniscano risposte unitarie, flessibili e differenziate ai bisogni ed alle esigenze delle famiglie. Tuttavia, in considerazione della riforma del settore avviata a livello statale (Legge 107/2015), l’iter della proposta regionale è stato sospeso in attesa che venga deliberato il decreto delegato del Governo (per non incorrere nel rischio di approvare una legge regionale che già dalla sua nascita si presenti disallineata rispetto alla normativa statale).